Le rampe san Marcellino ed il fondaco San Severino


 Le rampe San Marcellino, quartiere Pendino, collegano la zona di piazzetta Portanova al centro antico, ricollegandosi ad altre salite (vicoletto San Severino) e raggiungendo il centro antico di Napoli, proprio in corrispondenza dell'antica chiesa dei Santi Severino e Sossio e di San Marcellino e Festo.  Scendendo per vicoletto San Severino è poi possibile soffermarsi a guardare uno degli ultimi fondaci di Napoli, fra quelli rimasti dopo il risanamento del XIX secolo. 


 Il fondaco San Severino, lungo le rampe san Marcellino, è uno degli ultimi fondaci napoletani.  Un fondaco era un luogo tipico delle città di mare, all'interno del quale spesso alloggiavano i mercanti e sovente venivano immagazzinate le mercanzie: una sorte di micro città nella città, dato che attraversando il portale d'ingresso si entrava non in un cortile ma in una vera e propria piazzetta su cui affacciavano una o più abitazioni, fra loro incastrate nei modi più disparati. Nel corso dei secoli, come spesso accade, questi luoghi persero la loro funzione originaria e, sempre più modificati ed ingolfati di abitazioni, divennero luoghi degradati, sporchi, all'interno dei quali potevano anche scoppiare violente epidemie.  Matilde Serao nel suo Ventre di Napoli li portava come esempio di sudiciume e dei luoghi da sventrare.

Vietato ai venditori di commestibili ingombrare il passaggio di Port'Alba nel 1796 l'epigrafe di Port'Alba


A Napoli fra il XVII ed il XIX secolo si era soliti affiggere sui muri dei palazzi lapidi ed iscrizioni a testimonianza della promulgazione di banni od editti, che dovevano in tal modo essere resi noti all'intera popolazione. Fra questi uno dei meglio conservati e più noti è quello che si trova a Port'Alba. Affisso nel gennaio del 1796, a cura del tribunale della fortificazione, mattonata ed acqua, il bando riguardava il passaggio di cittadini e carrozze sotto la porta.   In particolare era fatto divieto ai venditori di commestibili di ingombrare il passaggio.  Considerato che ancora oggi sotto quella lapide vi sono i tavoli dell'antica pizzeria Port'Alba e che nel XVIII secolo le pizze erano vendute direttamente in strada da ambulanti, si potrebbe immaginare che fra gli ambulanti ai quali si chiedeva di liberare la  strada vi erano anche quelli della storica pizzeria, la più antica di Napoli. Da notare poi che port'Alba nel documento ufficiale era definita "porta suscella", perché il bando era destinato al popolo e questo era il nome popolare della porta, "suscella" o "Sciuscella" ovvero carruba, dal  numero di frutti dei tanti carrubi che crescevano nei vicini orti. 

Ecco il testo completo della lapide posta a Port'Alba

Bando da parte degli ecc.mi signori deputati del tribunale della Fortificazione, mattonata ed acqua di questa fedelissima città convenendo al comodo e buon servizio publico che l'atrio di porta suscella sia sgombro e sbarazzato affatto di tale che sia sempre libero il passaggio de cittadini, delle carrozze, e delle altre vetture, perciò avendo avuta notizia, ch'esso atrio continuam venga ingombrato da venditori de' commestibili, quindi ciè paruto di fare il presente bando col quale ordiniamo a tutt e qualsivog persone che non ardiscano da oggi in avanti tenere nel suddetto atrio posti, sporte ed altri simili imbarazzi, sotto pena di duc.ti 24 da esigersi irremisibilm. da controventori ed acciò l'ordine venga a notizia di tutti, né possa allegarsi causa di ignoranza, vogliamo che il presente nostro bando si publichi in d.o luogo, e poi si affigga in S. Lorenzo, Li 19 gennaro 1796.
Li deputati del tribunale della fortificaz mattonata ed acqua di questa fedelis. città
Il duca di Bagnoli
Vincenzo Spinelli
Giuseppe Serra
Gio Lonardo Mascia
Girolamo Vassallo Seg.

La tomba di Partenope: quella scritta a San Giovanni Maggiore su cui si discute da secoli


"Partenopem tege fauste": queste parole poste su una lapide millenaria all'interno della basilica di San Giovanni Maggiore hanno da sempre attirato  letterati e studiosi alla ricerca della mitica tomba di Partenope.  Può sembrar strano che si sia dibattuto per secoli sul luogo di sepoltura di un essere mitologico, ma a Napoli realtà e leggenda da sempre si fondono insieme in tutt'uno.  Ecco che del luogo mitologico dove fu sepolta la sirena (che la leggenda "più accreditata" vuole morta sull'isolotto di Megaride) non discussero solo nell'antichità (ad esempio Stazio) ma anche in epoca moderna.  Fra quanti propendevano per la sepoltura della sirena in altura, su un monte, ci fu chi pensò a Caponapoli (a Sant'Aniello a Caponapoli), chi a San Giovanni Maggiore, chi addirittura al Vesuvio. Quel che è certo è che ne parlarono Sannazaro e Pontano, che il Celano molto si dilungò sull'argomento nel quarto libro del proprio "Notitie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli per i signori forastieri date dal canonico Carlo Celano napoletano,divise in dieci giornate", che ancora nel XIX secolo Bartolommeo Capasso nel suo Sull' antico sito di Napoli e Palepoli dubbii e conghietture ne discuteva ampiamente.

Tornando all'antica lapide, che originariamente doveva essere decorata con una croce dorata, che già all'epoca del Celano (XVII secolo) era andata persa, l'ipotesi più accreditata è ripresa dallo stesso
Diciamo dunque, colla più probabile opinione, che questo fusse stato il segno della consecratione della chiesa fatta dal santo pontefice Silvestro, come si ha per antichissima traditione, e che il nome di Partenope era della città nostra,che si raccomandava alla protezzione di sanGiovanni.

Chi ha un po' di tempo e voglia, rilegga le pagine del Celano dedicate a San Giovanni Maggiore. 
Di sicuro, l'interesse anche relativamente recente per questa lapide fu tale da costringere la chiesa ad aggiungere una seconda lapide nel 1689, sotto la prima, per spiegare il significato del testo:




Napoli: itinerario alla riscoperta della parte bassa del centro antico e di un pezzo della Napoli medievale-rinascimentale

Itinerario alla riscoperta di un pezzo della Napoli medievale-rinascimentale individuato insieme agli amici di Conosciamo Napoli e la Campania.  (pubblicato già in occasione della passeggiata prevista per oggi 18 ottobre sul blog diarionapoletano.wordpress.com )

La partenza: dalla spiaggia dell'antico porto (piazza Borsa) su per le scalette in centro città
cerriglio gradini di piazzetta
Sin dall'antichità Napoli aveva due porti, uno grande, situato in zona piazza Municipio (testimonianza dell'esatta collocazione di epoca greco-romana il ritrovamento delle navi durante gli scavi per realizzare la stazione metro di piazza Municipio) ed uno più piccolino, una sorta di porto di pescatori, noto come "mar ad Arcina", quello che poi nei secoli sarebbe stato definito un "mandracchio", termine utilizzato in diverse aree portuali del Mediterraneo, ma che avrebbe poi avuto nel corso dei secoli un'accezione negativa, come di luogo malfamato.  Ancora fino agli anni '30 del XX secolo esisteva quest' area portuale.   Tornando indietro nei secoli, va sottolineato che il livello del mare era un bel po' più in basso, come testimonia l'antichissima chiesa di Sant'Aspreno al Porto, il cui ipogeo, che era una vera e propria cappella sulla spiaggia, è ancora oggi intatto così come appariva ai fedeli dell' VIII-IX secolo (anche se realizzato in epoca paleocristiana su antiche costruzioni romane). Dal porto diverse stradine e scalette dovevano partire per raggiungere i palazzi a ridosso delle mura e la città vera e propria.  Una di queste, gradini di piazzetta, parte dalla zona del Cerriglio, sotto le mura dell'insula di Santa Maria la Nova, luogo che sarebbe diventato famoso nel XVII secolo come punto d'incontro di artisti e marinai (qui fu accoltellato Caravaggio).  Scommetterei che il 90% dei napoletani non ha mai percorso questi gradini, che sembrano inerpicarsi verso l'alto ma poi ritornano giù verso quello che oggi è sedile di Porto. Da qui salgono verso l'alto i gradini di pendino Santa Barbara, una scalinata che è là da almeno 700-800 anni e che è stata protagonista  (non positiva... ci vivevano le "nane") del romanzo la Pelle di Curzio Malaparte nel secondo dopoguerra.
 
I banchi nuovi, palazzo Penne ed il ricordo di zi'Nennella
banchi nuovi di notte
Attraversato l'ultimo arco, superato l'ultimo gradino di pendino Santa Barbara ci si ritrova catapultati nella Napoli antica. I nomi delle strade diventano plurisecolari e richiamano alla memoria fatti storici che si perdono nei secoli fino a diventare quasi leggenda. Da una parte si dirama, subito dopo largo Ecce Homo, via Donnalbina (come dimenticare i racconti delle vicende di Donn'albina Donna romita e Donna regina), dall'altra ci si ritrova fra i banchi nuovi. Ma il primo oggetto che si nota a largo Monticelli è quello che sembra uno sgangherato copri-cassonetto. In realtà celato là sotto c'è un monumento nazionale, "l'antica banca all'acqua solfurea", come recitava la scritta sul marmo bianco, dell'acquafrescaia "Zi Nennella".   Nella piazzetta è magnifico il portale di Palazzo Penne, da un paio d'anni restaurato (contrariamente al resto del palazzo). Si tratta di un palazzo ricco di storia (e di leggende), esempio superbo di architettura civile della Napoli del XV secolo. Di fronte è palazzo Palmarice (wiki) ed accanto la chiesa di San Demetrio e Bonifacio. Un'epigrafe posta sul palazzo descrive scene di vita del 1773 (qui il testo del Il banno dei Banchi Nuovi per sapere cosa vietava di fare). Questo banno fu proclamato ad alta voce e dopo il suono di tromba da parte dell' "ordinario trombetta"il 24 luglio 1773 e quindi affisso sul muro del palazzo. Proseguendo per i banchi nuovi si passa accanto il palazzo dei duchi di Casamassima, costruito nel 1569 e si giunge al largo Banchi Nuovi, con la chiesa dei santi Cosma e Damiano, costruita laddove era l'antica loggia dei Banchi Nuovi, attualmente in stato di grande degrado.
Da San Giovanni Maggiore al Nilo
corpo di napoli statua del nilo restaurato 
Lasciandosi sulla sinistra via Santa Chiara, si arriva a via Candelora e quindi a largo San Giovanni Maggiore.  Oltre a palazzo Giusso, sede storica dell'Orientale, ci si trova dinanzi la splendida cappella dei Pappacoda e soprattutto l'ingresso laterale della basilica di San Giovanni Maggiore.  Si tratta di uno dei monumenti più interessanti di Napoli, ogni parola in più è superflua.  Risalendo san Giovanni Maggiore Pignatelli, sulla destra vi è una seconda epigrafe. Risale al 1651 ed è un divieto di edificazione su quei suoli. Costeggiando il pallonetto di Santa Chiara, continuando per stradine e vicoli, si riesce a by-passare  Spaccanapoli, il decumano inferiore (al link il percorso da Piazza del Gesù a San Domenico Maggiore) e ci si ritrova direttamente su via Mezzocannone e poco dopo in piazzetta Nilo. Il Nilo, il Corpo di Napoli, è forse uno dei simboli più famosi della città.  Nel largo è anche la chiesa di Sant'Angelo al Nilo, al cui interno vi è il sepolcro del cardinale Brancaccio (wiki), uno dei monumenti più importanti di Napoli, realizzato da Donatello e Michelozzo fra il 1426 e 1428.
Dal corpo di Napoli alla sirena Partenope
fontana spina corona restaurata
Il percorso prosegue per via Paladino. L'antica strada è piena di tracce di epoche storiche differenti: si può scorgere un'antica colonna romana ma anche la targa arrugginita della facoltà di Ingegneria, che qui aveva sede negli anni '30 del XX secolo (un po' di storia per chi vuole leggere). Di lato è la chiesa di Donnaromita, con la bella cupola maiolicata e poco più in là l'epigrafe su cui  è riportato il banno del 1600 che vietava di giocare in strada, pena il carcere.  La strada continua, costeggiando l'università e raggiungendo il Gesù Vecchio (XVI secolo - wiki).  Riprendendo il percorso indicato un bel po' di parole più su, ci si avvia verso San Marcellino e Festo, con il bel chiostro che ospita sia sedi universitarie che il museo di paleontologia.  Di fronte è la chiesa dei santi Severino e Sossio, una delle chiese più belle e dense di storia di Napoli. Scendendo per le rampe di San Marcellino, si arriva nella zona di piazzetta Portanova. Degno di nota è il portale di palazzo Bonifacio , della stessa epoca di palazzo Penne.  Chiude il percorso la splendida fontana di Spina Corona, meglio nota come la "fontana delle zizze". Vale la pena approfondire un po' la descrizione di questa storica fontana, di cui c'è traccia storica sin dal XV secolo, ricca di simbologia e dal significato e storia parzialmente oscuri: la sirena Partenope (nella versione "originale", greca, metà donna e metà uccello) spegne le fiamme del Vesuvio con l'acqua che sgorga dai propri seni.

Due note a margine:
Banni ed epigrafi sui muri dei palazzi di Napoli
Durante il percorso vi sono diverse lapidi del 1700 su cui sono riportati banni ed editti destinati alla popolazione. La lettura di queste preziose tracce del passato di Napoli permette di immaginare scene di vita quotidiana nella Napoli a cavallo fra il XVIII e l'inizio del XIX secolo.   - Il banno dei Banchi Nuovi L'epigrafe del Cerriglio ed altre
La vera street art
murales zilda napoli santa maria dell aiuto 
Durante il percorso sarà possibile ammirare alcuni murales e diverse opere di street art (quella vera, non i graffiti vandalici). In particolare sarà possibile ammirare l'opera di Zilda che è in via Santa Maria dell'Aiuto.

Quartieri spagnoli, via portacarrese a Montecalvario


Via Portacarrese a Montecalvario è una strada che si inerpica, fra scalinate e salite, da via Toledo fino a Corso Vittorio Emanuele.  Guardando Napoli da là, in mezzo ai Quartieri Spagnoli, si nota quanto l'oleografia e certi luoghi comuni fotografici siano ancora forti, inevitabili: i bassi, i panni stesi, qualche motorino parcheggiato a casaccio,  i muri diroccati... difficile negare che almeno in parte non sia così...  nei prossimi giorni mostrerò magari su diarionapoletano.wordpress.com anche un altro aspetto "fotograficamente rilevante" dei quartieri spagnoli, più recente ed ugualmente interessante.
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