La partenza: dalla spiaggia dell'antico porto (piazza Borsa) su per le scalette in centro città
Sin
dall'antichità Napoli aveva due porti, uno grande, situato in zona
piazza Municipio (testimonianza dell'esatta collocazione di epoca
greco-romana il ritrovamento delle navi durante gli scavi per realizzare
la stazione metro di piazza Municipio) ed uno più piccolino, una sorta
di porto di pescatori, noto come "
mar ad Arcina", quello che poi nei secoli sarebbe stato definito un "
mandracchio",
termine utilizzato in diverse aree portuali del Mediterraneo, ma che
avrebbe poi avuto nel corso dei secoli un'accezione negativa, come di
luogo malfamato.
Ancora fino agli anni '30 del XX secolo esisteva quest' area portuale. Tornando
indietro nei secoli, va sottolineato che il livello del mare era un bel
po' più in basso, come testimonia l'antichissima
chiesa di Sant'Aspreno al Porto, il
cui ipogeo, che era una vera e propria cappella sulla spiaggia, è
ancora oggi intatto così come appariva ai fedeli dell' VIII-IX secolo
(anche se realizzato in epoca paleocristiana su antiche costruzioni
romane). Dal porto diverse stradine e scalette dovevano partire per
raggiungere i palazzi a ridosso delle mura e la città vera e propria.
Una di queste,
gradini di piazzetta, parte dalla zona del
Cerriglio, sotto
le mura dell'insula di Santa Maria la Nova, luogo che sarebbe diventato
famoso nel XVII secolo come punto d'incontro di artisti e marinai (qui
fu accoltellato Caravaggio). Scommetterei che il 90% dei napoletani non
ha mai percorso questi gradini, che sembrano inerpicarsi verso l'alto
ma poi ritornano giù verso quello che oggi è sedile di Porto. Da qui
salgono verso l'alto i gradini di
pendino Santa Barbara,
una scalinata che è là da almeno 700-800 anni e che è stata
protagonista (non positiva... ci vivevano le "nane") del romanzo la
Pelle di Curzio Malaparte nel secondo dopoguerra.
I banchi nuovi, palazzo Penne ed il ricordo di zi'Nennella
Attraversato
l'ultimo arco, superato l'ultimo gradino di pendino Santa Barbara ci si
ritrova catapultati nella Napoli antica. I nomi delle strade diventano
plurisecolari e richiamano alla memoria fatti storici che si perdono nei
secoli fino a diventare quasi leggenda. Da una parte si dirama, subito
dopo largo Ecce Homo,
via Donnalbina (come dimenticare i racconti delle vicende di Donn'albina Donna romita e Donna regina),
dall'altra ci si ritrova fra i banchi nuovi. Ma il primo oggetto che si
nota a largo Monticelli è quello che sembra uno sgangherato
copri-cassonetto. In realtà celato là sotto c'è un monumento nazionale,
"l'antica banca all'acqua solfurea", come recitava la scritta sul marmo bianco, dell'acquafrescaia "Zi Nennella". Nella piazzetta è magnifico il
portale di Palazzo Penne,
da un paio d'anni restaurato (contrariamente al resto del palazzo). Si
tratta di un palazzo ricco di storia (e di leggende), esempio superbo di
architettura civile della Napoli del XV secolo. Di fronte è
palazzo Palmarice (wiki) ed
accanto la chiesa di San Demetrio e Bonifacio. Un'epigrafe posta sul
palazzo descrive scene di vita del 1773 (qui il testo del
Il banno dei Banchi Nuovi per sapere cosa vietava di fare).
Questo banno fu proclamato ad alta voce e dopo il suono di tromba da
parte dell' "ordinario trombetta"il 24 luglio 1773 e quindi affisso sul
muro del palazzo. Proseguendo per i banchi nuovi si passa accanto il
palazzo dei duchi di Casamassima,
costruito nel 1569 e si giunge al largo Banchi Nuovi, con la chiesa dei
santi Cosma e Damiano, costruita laddove era l'antica loggia dei Banchi
Nuovi, attualmente in stato di grande degrado.
Da San Giovanni Maggiore al Nilo
Lasciandosi sulla sinistra via Santa Chiara, si arriva a via Candelora e quindi a largo San Giovanni Maggiore. Oltre a
palazzo Giusso, sede storica dell'Orientale, ci si trova dinanzi la splendida
cappella dei Pappacoda e soprattutto l'ingresso laterale della
basilica di San Giovanni Maggiore. Si
tratta di uno dei monumenti più interessanti di Napoli, ogni parola in
più è superflua. Risalendo san Giovanni Maggiore Pignatelli, sulla
destra vi è una seconda
epigrafe. Risale al 1651 ed è un divieto di edificazione su quei suoli. Costeggiando il pallonetto di Santa Chiara, continuando per stradine e vicoli, si riesce a by-passare
Spaccanapoli, il decumano inferiore (al
link il percorso da Piazza del Gesù a San Domenico Maggiore) e ci si
ritrova direttamente su via Mezzocannone e poco dopo in piazzetta Nilo.
Il Nilo, il Corpo di Napoli, è forse uno dei simboli più famosi della città. Nel largo è anche la chiesa di Sant'Angelo al Nilo, al cui interno vi è il
sepolcro del cardinale Brancaccio (wiki), uno dei monumenti più importanti di Napoli, realizzato da Donatello e Michelozzo fra il 1426 e 1428.
Dal corpo di Napoli alla sirena Partenope
Il percorso prosegue per via Paladino. L'antica strada è piena di tracce di epoche storiche differenti: si può scorgere
un'antica colonna romana ma anche la targa arrugginita della facoltà di Ingegneria, che qui aveva sede negli anni '30 del XX secolo (
un po' di storia per chi vuole leggere). Di lato è la chiesa di Donnaromita, con la bella
cupola maiolicata e poco più in là l'epigrafe su cui è riportato
il banno del 1600 che vietava di giocare in strada, pena il carcere. La strada continua, costeggiando l'università e raggiungendo
il Gesù Vecchio (XVI secolo - wiki). Riprendendo il percorso indicato un bel po' di parole più su, ci si avvia verso San
Marcellino e Festo, con il bel chiostro che ospita sia sedi universitarie che il
museo di paleontologia. Di fronte è la
chiesa dei santi Severino e Sossio,
una delle chiese più belle e dense di storia di Napoli. Scendendo per
le rampe di San Marcellino, si arriva nella zona di piazzetta Portanova.
Degno di nota è il
portale di palazzo Bonifacio , della stessa epoca di palazzo Penne. Chiude il percorso la splendida fontana di Spina Corona, meglio nota come la
"fontana delle zizze". Vale la pena approfondire un po' la
descrizione di questa storica fontana,
di cui c'è traccia storica sin dal XV secolo, ricca di simbologia e dal
significato e storia parzialmente oscuri: la sirena Partenope (nella
versione "originale", greca, metà donna e metà uccello) spegne le fiamme
del Vesuvio con l'acqua che sgorga dai propri seni.
Due note a margine:
Durante
il percorso vi sono diverse lapidi del 1700 su cui sono riportati banni
ed editti destinati alla popolazione. La lettura di queste preziose
tracce del passato di Napoli permette di immaginare scene di vita
quotidiana nella Napoli a cavallo fra il XVIII e l'inizio del XIX
secolo. -
Il banno dei Banchi Nuovi L'epigrafe del Cerriglio ed altre
La vera street art